Fatto di suoni, ritmi e gesti, il grammelot riesce a comunicare emozioni e significati senza essere una lingua vera e propria. Scopriamolo insieme.

Parlare senza dir niente

Peeperkorn è un personaggio di La montagna incantata di Thomas Mann. Ricco olandese delle colonie, ha il dono di parlare senza dire niente. Tuttavia, commenta Mann, la sua testa ha un aspetto così importante, la mimica e i gesti sono talmente decisi, penetranti, espressivi che tutti credono di udire cose notevolissime.

Parlare – e in qualche modo convincere – senza dire niente è un’arte, e quest’arte ha un nome preciso: supercazzola con scappellamento a destra.

Scheeerzo. Si tratta del grammelot (per i linguisti si pronuncia /ɡramˈlo/; per i non addetti, è “gramlò”).

Breve storia del grammelot

Treccani dixit, il termine deriva probabilmente francese grommeler «borbottare, mormorare fra i denti». Il grammelot deriva dal gergo teatrale, e indica una forma di gioco verbale che consiste nel pronunciare un discorso in una lingua inventata, le cui parole non significano niente ma che imitano nel suono e nella cadenza una certa lingua o un certo dialetto.

Il grammelot è un parlare turbinante, e il significato che trasmette – ciò che racconta – è tutto rimesso all’espressività della mimica dell’attore. Ciò che ne risulta è una recitazione fortemente espressiva e iperbolica.

Pare che questo artificio recitativo fosse utilizzato da giullari, attori itineranti e compagnie di comici della commedia dell’arte. Questi artisti recitavano usando intrecci di lingue e dialetti diversi miste a parole inventate, affidando alla gestualità e alla mimica quel tessuto connettivo che rendeva la comunicazione possibile a prescindere dalla lingua parlata dall’uditorio.

Un po’ come quell’amico che tenta un approccio con la californiana in vacanza senza spiaccicare una parola in inglese. Shish.

Grammelot nella letteratura italiana

Partiamo da Buzzati, a cui ho già dedicato un articolo (tvb Dino). In un racconto, intitolato Il critico d’arte (presente nella raccolta Sessanta racconti), il critico Paolo Malusardi, nel tentativo di scrivere un articolo per far spasimare d’invidia i colleghi, si getta a capofitto nella descrizione del pittore Leo Squittinna. Ossessionato dalla ricerca del “linguaggio adatto”, Malusardi scrive quindici fogli che iniziano così:

Il pittore di del dal col affioriccio ganolsi coscienziamo la simileguarsi. Recusia estemesica! Altrinon si memocherebbe il persuo stisse in corisadicone elibuttorro. Ziano che dimannuce lo qualitare rumelettico di sabirespo padronò. E sonfio tezio e stampo egualiterebbero nello Squittinna il trilismo scernosti d’ancomacona percussi. Tambron tambron, quilera dovressimo, ghiendola namicadi coi tuffro fulcrosi, quantano, sul gicla d’nogiche i metazioni, gosibarre, che piò levapo si su predomioranzabelusmetico, rifè comerizzando per rerare la biffetta posca o pisca. Verè chi…

Provate a leggerlo a voce alta e, dopo aver salutato il demone che avete appena evocato, vi renderete conto di cosa significhi “parlare” in grammelot.

Ma chi più di tutti è stato in grado di sfruttare le potenzialità del grammelot in letteratura è stato il poeta Fosco Maraini, con la sua raccolta Gnosi delle fànfole. Le fànfole dello scrittore fiorentino sono diventate celebri grazie all’interpretazione di Gigi Proietti (tra i più celebri attori italiani che si sono esibiti in grammelot linguistici) della poesia Il Lonfo, tornata virale grazie a un video di un padre e sua figlia.

Teatro in grammelot

Oltre a Gigi Proietti, il filone del grammelot è stato recuperato dall’attore e Premio Nobel Dario Fo, che lo ha valorizzato, ad esempio, nella sua celebre pièce Mistero Buffo. Nel Manuale minimo dell’attore (1997), parlando del grammelot, Dario Fo confessa che uno dei suoi sogni segreti è quello di riuscire, un giorno, a entrare in televisione, sedersi al posto dello speaker che dà le notizie del telegiornale e parlare, per tutto lo spazio della trasmissione, in grammelot. Riporta questa comunicazione:

Oggi traneuguale per indotto-ne consebase al tresico imparte Montecitorio per altro non sparetico ndorgio, pur secministri e cognando, insto allegò sigrede al presidente interim prepaltico, non manifolo di sesto, dissesto: Reagan, si può intervento e lo stava intemario anche nale perdipiù albato – senza stipuò lagno en sogno-la-prima di estabio in Craxi e il suo masso nato per illuco saltrusio ma non sempre. Si sa, albatro spertico, rimo sa medesimo non vechianante e, anche, sortomane del pontefice in diverica lombata visito Opus Dei.

A me, invece, piacerebbe fare il tronista.

Adriano Celentano e altri musicisti

Anche nel panorama musicale esistono esempi di grammelot, come la canzone Prisencolinensinainciusol di Adriano Celentano (o Adrian, per i più traumatizzati), dove l’ascoltatore è portato a credere di essere all’ascolto di una canzone in inglese. Il cantautore che ha più utilizzato il grammelot nei suoi testi è stato, però, l’indimenticabile Lucio Dalla.

No, amici del nord, Geolier non canta in grammelot.

Grammelot di oggi: Pingu e i Minions

Nel campo pubblicitario un esempio celebre del grammelot è quello presente nel cartone animato La Linea, creato da Osvaldo Cavandoli e doppiato da Carlo Bonomi per il Carosello della ditta Lagostina; lo stesso Bonomi doppia anche i personaggi del cartone animato Pingu.

In Pingu, allo scopo di favorire la capacità di intuito dei bambini spettatori, tutti i dialoghi sono in una fantomatica lingua “pinguinese”, un grammelot totalmente incomprensibile (eccetto alcune parole casuali), rendendo possibile solo ipotizzare cosa venga detto attraverso lo scorrimento delle immagini.

noot-noot

Una forma moderna di grammelot si può sentire nel franchise Cattivissimo Me: i Minions parlano una lingua inventata, composta di parole prese in prestito da diverse lingue che non formano un senso compiuto. Il senso del discorso è invece veicolato principalmente tramite il tono di voce e la mimica, nonostante si trovino alcune espressioni riconoscibili (banana!).

Conculsiani

La conclusione di del col articolando inturgando favàni s’approssa quili conculsiani.

Capito?

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