È chiaro a tutti che ci siamo ormai ben distanziati dal nostro antenato Australopiteco. Ciò che nessuno però avrebbe immaginato è che l’Homo sapiens si sarebbe evoluto in una nuova specie: l’Homo performativus.

Habitat e primi avvistamenti
Il performative male è un tipo ideale (per dirla con Weber <3): un archetipo, un insieme di idee, atteggiamenti e comportamenti che accomunano un certo gruppo di uomini.
A dare il nome a questa “nuova specie” non sono stati scienziati in camice bianco o studiosi chiusi in una libreria accademica, ma (come avviene per tutto ciò che acquista valore in una società digitalizzata) gli utenti di TikTok.
I primi avvistamenti risalgono a parchi e caffetterie, inizialmente oltreoceano, nei loro habitat naturali. La specie è stata riconosciuta grazie ai suoi tratti distintivi: baggy jeans, auricolari con il filo, matcha latte sempre in mano, un libro accuratamente selezionato da mostrare e una tote bag immancabile.

Il fenomeno si è diffuso rapidamente grazie a meme e contenuti ironici su TikTok, diventando presto una vera e propria specie riconosciuta. In alcune città come Seattle, San Francisco e Chicago sono stati persino organizzati concorsi dedicati ai “maschi performativi”.
L’IA come giudice
La particolarità di questi contest non sta solo nelle domande e nei test a cui venivano sottoposti i partecipanti, ma anche nel fatto che la valutazione iniziale fosse affidata a un giudice d’eccezione: l’intelligenza artificiale, incaricata di decretare chi incarnasse meglio l’archetipo dell’Homo performativus.

Che fosse proprio l’IA a stabilire chi fosse il “più performativo” non è un dettaglio marginale. È il segno che ormai l’identità non si costruisce più nello spazio sociale fisico, ma attraverso insiemi di algoritmi che generano e alimentano trend.
Il performative male non è autentico se non viene riconosciuto come tale da un sistema digitale: è l’algoritmo a certificare la sua esistenza. In questo senso, i social non si limitano a legittimarlo e a dargli visibilità, ma rappresentano il suo vero habitat naturale, l’ecosistema in cui questa “nuova specie” può nascere, proliferare e, inevitabilmente, essere consumata.
La crisi dei modelli tradizionali
Ma torniamo ai tratti distintivi di questa specie evoluta. Abbiamo già chiarito che l’aspetto esteriore è un elemento fondamentale per riconoscerla, ma non basta. L’homo performativus si distingue anche, e soprattutto, per i comportamenti e le idee che mette in scena e condivide.
La sua missione dichiarata è quella di superare i ruoli di genere tradizionali. L’uomo performativo rinnega le gabbie della mascolinità tossica… o quantomeno lo fa ogni volta che c’è qualcuno pronto a riprenderlo.
La crisi dei modelli maschili tradizionali è un tema ampiamente discusso dai sociologi contemporanei. Nella società odierna, i ruoli di genere vengono costantemente messi in discussione e il ruolo del maschio si allontana sempre più dal modello classico: virile, assertivo e dominante.

Se nel modello tradizionale l’uomo doveva bere birra e mangiare carne rossa, nell’universo performativo l’uomo deve bere matcha e seguire diete vegane.
Criticità della performance
Sono molte le criticità emerse da questa nuova “scoperta”, a cominciare dall’idea che la performance sia un tratto esclusivo di chi ostenta, e non una dimensione condivisa da tutti gli esseri sociali.
In secondo luogo, diventa complesso distinguere interessi autentici da interessi performativi.
Come possiamo sapere se quell’uomo seduto sulla panchina del parco sta davvero leggendo il libro per interesse personale oppure se sta semplicemente mettendo in scena il suo piccolo teatrino, un vero e proprio rituale di corteggiamento, paragonabile al ballo degli uccelli maschi per attrarre le femmine della specie?

Mascolinità autentica vs mascolinità performativa
L’apertura a nuovi tipi di mascolinità è senza dubbio positiva, soprattutto quando si distanzia dall’archetipo dominante che danneggia non solo le donne, ma anche gli uomini stessi, alimentando una società patriarcale.
Tuttavia, è fondamentale distinguere tra mascolinità autentica e mascolinità performativa: quest’ultima spesso si manifesta come una vera e propria appropriazione di idee femministe e valori progressisti, utilizzati più come strumenti di seduzione che come convinzioni genuine.

L’ostentazione può risultare fastidiosa, soprattutto quando diventa appropriazione di valori non autentici, presi in prestito giusto il tempo di fare colpo.
Va detto però che la performance non è un’esclusiva di questa nuova “specie”. In fondo, tutti noi, chi più chi meno, siamo attori di un teatro sociale. Io stesso sto performando nel momento in cui scrivo questo articolo e performo ancora di più quando scelgo la maglia da indossare prima di uscire di casa. Ogni gesto, ogni scelta estetica o di comportamento, fa parte di un teatrino quotidiano a cui nessuno può sottrarsi.
La vera domanda, quindi, è: come riconoscere l’autenticità? Sta nella coerenza, nella continuità, nella capacità di resistere quando il trend finisce. Perché quando l’algoritmo passerà oltre, chi resterà ancora con in mano il matcha latte?
L’evoluzione… algoritmica
In fondo, l’Homo performativus non è altro che il simbolo di una condizione che riguarda tutti. Ci fa sorridere, ci stupisce e talvolta può anche irritarci, ma ci ricorda che l’evoluzione umana non riguarda più solo il corpo.
Non si tratta più del passaggio dal camminare a quattro zampe alla posizione eretta, né della capacità di costruire un attrezzo con una pietra e un pezzo di legno. L’evoluzione di oggi riguarda la capacità di mostrarsi, di comunicare e di relazionarsi con gli altri. E a guidarla non è la biologia, ma algoritmi digitali che definiscono quali caratteristiche diventino condivisibili e socialmente riconosciute.

In altre parole: il matcha latte è la nuova clava e la tote bag la nuova pelle di mammut. E se ieri l’uomo performava dando la caccia ad un bisonte, oggi lo fa scegliendo la playlist giusta da far intravedere su Spotify.
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