Oggi ti senti soddisfatto. Camminando nel tuo quartiere hai raccolto tre cartacce, riposto una bottiglia di vetro nell’apposito contenitore e sistemato una pila di brochure pubblicitarie gettate a terra davanti al portone di casa.
Sì, hai davvero di che essere fiero perché, ciò che forse non sai, è che con questi piccoli gesti hai, non solo aiutato l’ambiente, ma dato il tuo contributo nella riduzione della criminalità. Addirittura, direte voi? Ebbene sì.
Cosa resterà degli anni 80?
Questa “impensabile” correlazione venne citata per la prima volta nel 1982 in un articolo di scienze sociali scritto dagli studiosi James Q. Wilson e George L. Kelling che introdussero il concetto di “Broken Windows Theory”, ossia “teoria delle finestre rotte”.
Tale teoria criminologica si fondava sul principio che esistono forti legami tra la cura/disattenzione per l’ambiente e i comportamenti sociali/antisociali: piccoli atti di vandalismo o disordine, se lasciati incontrollati, possono infatti portare a comportamenti più gravi e ad un aumento della criminalità.
Le condizioni dell’ambiente, quindi, influenzano il comportamento sociale (così come l’all you can eat sta alla dieta insomma…).

Facciamo qualche esempio
Proviamo a partire proprio da una finestra rotta (da cui il nome della teoria): se questa non venisse riparata potrebbe rappresentare un segnale che nessuno si prende cura del luogo ed incoraggiare ulteriori atti di vandalismo ed azioni criminali.
Ma possibile che un piccolissimo problema ignorato possa innescare un vero e proprio effetto domino?
Non voglio certo paragonare questi eventi agli effetti domino in natura, ma è indubbio che tutte le azioni siano tra loro interconnesse e se la teoria valeva negli anni ’80, oggi appare più attuale che mai.
Riconosci la catena
Partendo da un piccolo problema ignorato, il disordine e la mancanza di controllo che ne conseguono possono portare a comportamenti più seri: incidono sul comportamento delle persone e sul senso di sicurezza percepito.
Rifiuti per strada, graffiti, edifici abbandonati, atti di vandalismo minori segnalano un senso di abbandono e incuria, che rappresentano un messaggio implicito ai criminali: “potete agire impunemente!” (come se non bastasse l’assenza di certezza della pena…).

Quando si percepisce che non c’è una supervisione o che nessuno se ne occupa, si indeboliscono i legami sociali ma anche il senso di responsabilità collettivo evitando di intervenire (“se non interessa a loro figuriamoci a me”)
Il disordine urbano crea infine un senso di insicurezza in chi lo vive ogni giorno: un ambiente trascurato appare come meno controllato e, di conseguenza, più pericoloso. E quando una cosa spaventa si preferisce fare finta di niente.
C’è quartiere e quartiere?
E’ chiaro che in ogni città ci sono zone e zona ma se pensi che il quartiere benestante sia immune dai crimini e che questi siano solo problemi dei nostri “tempi” ti sorprenderò con un esperimento del 1969 realizzato dallo psicologo Philiph Zimbardo ed in seguito utilizzato a sostegno della “teoria delle finestre rotte”.
Lo psicologo decise di lasciare 2 automobili identiche, ed entrambe senza targa e con il cofano aperto, in due quartieri diversi: una in un’area considerata ad alto tasso di criminalità (il Bronx a New York) e l’altra in una zona benestante e tranquilla (Palo Alto in California).
Se l’auto nel Bronx fu vandalizzata nel giro di pochi minuti, quella in California rimase intatta per oltre una settimana… almeno fino a quando Zimbardo decise di rompere uno dei finestrini con un martello: da lì a poche ore l’auto infatti venne completamente distrutta.

L’esperimento dimostrò che il degrado visibile, anche se piccolo, funge da catalizzatore per il disordine e vandalismo, e persino in contesti dove tali crimini non sono una norma.
Spezza la catena
Una crescente attenzione da parte delle Pubbliche Amministrazioni verso la cura del suolo pubblico è ovviamente auspicabile ma è nel senso di responsabilità civile e sociale di ciascuno di noi la vera manutenzione delle “finestre rotte”.
Smettiamo di considerare il degrado e l’incuria normali perché ci siamo abituati e ormai non funziona più nulla. Ridiamo la giusta dignità ai nostri spazi e al nostro “ruolo” osservando e diventando parte attiva nel contenimento di quegli spifferi che possono tramutarsi in venti di burrasca.
Mi scuserete se vi lascio così presto ma sull’onda dell’entusiasmo vado a comprare una pinza per fare plogging e quasi quasi chiamo l’amministratore di condominio per fare sistemare le erbacce che stanno ricoprendo il nostro marciapiede: oggi non risolverò un cold case, ma forse l’ambiente – e spero anche i miei vicini – mi ringrazieranno.
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