Se non hai ancora visto Squid Game ti consiglio di non leggere questo articolo perché contiene spoiler: dunque vai a guardarlo e poi torna a leggere!

Breve recap della trama

456 ultimi vengono reclutati nei più disparati posti della Corea del Sud da un uomo in giacca e cravatta che propone loro di giocare a ddakji. Se il malcapitato a cui viene proposto il gioco vince, riceve del denaro, se perde riceve uno schiaffo. Il gioco viene usato come espediente psicologico: chi è disposto a sopportare il dolore in cambio di denaro viene reputato degno di far parte del gioco.

ho ansia solo a riguardare queste tessere

Il ddakji si pone propriamente come simbolo d’ingresso al sistema capitalistico che la serie critica: ciascuno di noi, soprattutto chi è più disperato, farebbe di tutto per denaro. Superato questo primo gioco, si viene rapiti e portati sull’isola dei giochi, sulla quale inizia il vero calvario per i giocatori.

Gi-hun e l’umanizzazione

Gi-hun, la prima volta, partecipa agli Squid Game per una serie di circostanze fortuite che lo portano anche a distinguersi all’interno dei giochi. Durante la prima edizione vediamo un uomo oberato da debiti che, lasciato dalla moglie e dalla figlia, vive con la madre. 

Per questo motivo, con quell’opportunità crede di aver trovato un modo facile e veloce per risolvere tutti i propri problemi. Iniziano i giochi e scopre che non è così. Sono giochi mortali architettati ad hoc da ricchi che godono nel vedere i poveri disposti ad uccidersi per riuscire ad avere un po’ di denaro. Gi-hun, durante quella competizione disumanizzante scopre l’umanità che aveva perso: lotta, gioca, sopravvive, ma, a differenza degli altri, non uccide nessuno ed è questa la chiave di lettura etica del suo personaggio.

Gi-Hun nella prima stagione, anche lì con il numero 456

Vince i giochi e ha un solo obiettivo: farli finire. Col montepremi mette in piedi una sorta di società d’investigazione segreta al fine di ritrovare l’uomo in giacca e cravatta, cosicché questo possa nuovamente condurlo sull’isola. E, nonostante poi non accada grazie all’uomo, Gi-hun riesce lo stesso a partecipare nuovamente ai giochi. Ma adesso lo vediamo diverso: arrabbiato, triste, umano. Caratteristiche che appartengono a pochi personaggi di questa serie e che lo spingeranno a condurre una ribellione. Così si chiude la seconda stagione.

gi-hun nella terza stagione, l'attore ha affermato di aver dovuto perdere oltre 10kg per interpretare il personaggio

La ribellione e la disumanizzazione

La terza stagione si apre con gli esiti della ribellione portata avanti da Gi-hun, i partecipanti sono dimezzati e nell’animo di alcuni dei restanti, corrotti e compromessi dal sistema capitalistico e dalla vita, si fa strada il pensiero che la mossa di Gi-hun sia stata calcolata al fine di spazzare via la concorrenza per vincere più facilmente il gioco. Le scene brutali si inaspriscono, si rivede il lampadario di corpi, una scena agghiacciante ma significativa: questi sono i risultati delle vostre azioni.

il lampadario di corpi come risultato dell'aver tentato di mettere fine ai giochi con mezzi violenti

Dopo questi eventi, cala drasticamente anche il numero di persone che sceglie di interrompere il gioco e nel frattempo arrivano i cosiddetti V.I.P., persone così ricche da essere completamente dissociate dal reale e che trovano divertimento nel vedere quei disperati morire. In mezzo a questo scempio e a questa mancanza di umanità, gli sceneggiatori di Squid Game decidono, in modo brillante, durante un gioco in corso, di far nascere una bambina, simbolo di umanità e purezza, che i V.I.P., però, decideranno di considerare concorrente autonoma dopo la morte della madre.

Forse c’è ancora una luce

Gi-hun promette a 222, donna incinta che perderà la vita durante uno dei giochi, che proteggerà sua la sua bambina anche a costo della propria vita. Ma prima di arrivare al finale e raccontare del protagonista, è necessaria una breve digressione: l’umanità non la troviamo solo in Gi-hun. 

011 è una guardia con un passato terribile alle spalle: scappa dalla Corea del Nord senza riuscire a portare con sé la figlia, non ha soldi, dunque anche lei cede al meccanismo infausto degli Squid Game al fine di provare a ritrovare la propria bambina. Prima di diventare guardia, però, lavora in un parco giochi, dove conosce un uomo che diventerà uno dei giocatori e sua figlia, malata di leucemia.

011 con il proprio protetto, 246

Quando 011, durante i giochi, nota l’uomo, il giocatore 246, rischia la propria vita per proteggerlo e riesce anche a permettergli di scappare. Le similitudini tra la guardia e Gi-hun sono infinite, non sta a me spiegarvele tutte, ma adesso occorre concentrarsi sul finale.

L’esplosione

Al gioco finale, composto da tre round, arrivano in otto o, meglio, nove, se consideriamo la piccola. Al round finale, però, i giocatori rimasti sono tre, Gi-hun, la bambina e il padre di quest’ultima: un ragazzo ormai acciecato dalla follia e che, dopo una lotta con Gi-hun, perde la vita senza che però il round del gioco venisse azionato, motivo per cui gli effettivi giocatori dell’ultimo round sono proprio la neonata e il protagonista.

In un gioco di riprese magistrale, in cui il finale della serie viene utilizzato come una comunicazione diretta con lo spettatore, l’uomo pronuncia poche parole in riferimento ad una conversazione avvenuta poco prima con il frontman del gioco, “noi non siamo cavalli, noi siamo esseri umani e gli esseri umani sono…” e si butta giù. Non prosegue con altre parole perché la complessità umana sfugge a composizioni troppo rigide: ulteriori parole avrebbero limitato il messaggio stesso; poi ripresa sulla sua caduta, ripresa sui V.I.P., ripresa sulla bambina.

una delle scene cinematrografiche più potenti di sempre

Il finale ovviamente non è tutto qui, ma anche se fosse stato solo questo, sarebbe bastato: il sacrificio di Gi-hun rappresenta la scelta morale suprema, la disumanità, nei giochi, stava vincendo e il suo atto riporta in piedi l’umano sottolineando che giocare con la disperazione delle persone, a volte, non finisce con il rendere queste dei mostri. Il protagonista disobbedendo al sistema precostituito è riuscito a darsi la forza della verità, magari non è stato in grado di fermare i giochi, ma ha dimostrato che nel ragionamento del frontman c’era una falla: l’umanità esiste ancora.

Alla fine dell’episodio siamo in America: una Cate Blanchett in giacca e cravatta gioca a ddakji con un senzatetto, c’è chi pensa che questo presagisca una nuova stagione, forse sì, forse no, per me è solo una presa di posizione politica: gli Squid Game sono completamente estremizzati, ma il capitalismo estremo gioca sulla disperazione della gente e poche nazioni sono capitaliste quanto l’America. 

A prescindere dalla presunta quarta stagione, sono certa che il messaggio sia l’amara consapevolezza che per quanto si possa lottare per salvare se stessi e gli altri, il mondo ormai non può essere salvato.

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