Cosa hanno in comune Chiara Ferragni, Elon Musk e Pippo Baudo? Non il conto in banca e nemmeno la bellezza, quello che hanno in comune è il personal brand.
Cos’è il personal brand
Il personal brand è l’insieme delle percezioni, valori ed impressioni che la comunità ha su un certo individuo, e l’insieme stesso è costruito intenzionalmente attraverso comunicazione, comportamenti e contenuti.
Per farla breve, se guardi una storia Instagram di Chiara Ferragni e pensi “ma che brava”, ”che icona! <3”, è la reazione che voleva (volevano) tu avessi, o meglio, nella stragrande maggioranza delle volte è così. Perché nella stragrande maggioranza delle volte? Il motivo è che alcune volte può capitare che alcuni contenuti siano fatti in maniera del tutto arbitraria, ma sono casi isolati, e che alle volte mettono anche a nudo come, in realtà, senza una “guida” questi personaggi siano semplicemente…umani.

Quindi, il personal brand serve a rendere riconoscibile il tuo personaggio, che sia un professionista o un creativo. Ti aiuta ad emergere, anche se il tutto deve essere corredato, in maniera diretta o indiretta, da un set di valori chiaro. Tuttavia…gli scivoloni sono dietro l’angolo.
Pandoro Gate: internet non dimentica
Jingle Bells… Jingle Bells… chi vuole un buon pandoro sponsorizzato da Chiara Ferragni, i cui ricavi andranno, in parte, in beneficenza al reparto oncologico pediatrico di un ospedale? Ecco. Vediamo cosa accade al personal brand quando, come abbiamo detto, arrivano gli scivoloni.
Nel 2022 Chiara Ferragni e Balocco collaborano per la promozione di un nuovo pandoro, venduto ad un prezzo di 9,37€ i cui ricavi sarebbero stati donati in parte all’Ospedale Regina Margherita di Torino. Iniziativa di per sé onorevole, ma qualcosa va storto: si scopre che la donazione era stata fatta ben prima del periodo Natalizio, a maggio 2022.

Cosa significa questo? Che il ricavato delle vendite sarebbe stato poi diviso tra la Ferragni e l’azienda Balocco. Quando il vaso di Pandora è stato aperto ecco che Internet si è lanciato contro l’influencer ed è partita una shitstorm senza precedenti (tra l’altro, si noti come in questa vicenda si dia maggior peso alla presenza della Ferragni che a quella di Balocco: il potere del personal brand!).
La Ferragni sparisce per qualche giorno dalla scena social e poi rientra dicendo che devolverà un milione di euro all’ospedale in questione. Bene questa è un po’ la storia che, seppure non conosciate manco chi sia Chiara Ferragni, ne avete sentito almeno una volta parlare.
Guardiamo un attimo ai numeri: 157 mila persone hanno smesso di seguire il profilo della Ferragni nelle prime due settimane dello scandalo, i dati recenti inoltre mostrano un andamento negativo. La ghigliottina digitale l’ha colpita e non solo: molte grandi aziende che collaboravano con lei hanno interrotto i rapporti.

Ora, sebbene resti una tra le top influencer, è innegabile che la trazione che aveva una volta è persa. Dopo lo scandalo ha avuto una lenta ripresa, il che comunque indica che il recupero sia possibile, ma la strada è tutt’altro che in discesa.
Il Pandoro Gate, quindi, dà una importante lezione di personal brand: se fai cazzate prima o poi si sa e, per quanto solido possa essere il tuo personal brand, internet è pronto far crollare tutto.
Va bene... finché tutto funziona
Un altro disastro che riguarda i personal brand ci porta negli USA, dove incontriamo Papa John’s Pizza. La catena nasce e cresce negli USA ed ottiene anche un ottimo successo, il tutto condito da un volto sempre in primo piano, addirittura sugli scatoli della pizza, il volto del fondatore: John Schnatter.
Pizza pepperoni e miliardi di fatturato, uno scenario da sogno per l’imprenditore, fino a quando non inizia ad inciampare più di una volta: una presa di posizione contro i giocatori della NFL che protestavano durante l’inno e poi ancora durante una conference call del 2018 ecco che usa la “n-word” più di una volta.

Le scuse arrivano ma non basta, il fatturato cala del 13%, che su quasi 2 miliardi di fatturato è un calo importante. Il fondatore sparisce dalla comunicazione dell’azienda, peccato che comunque il danno resta e l’azienda spende milioni per ripulirsi.
Ecco che quando leghi un volto, una persona insomma, ad una azienda, in senso stretto, e quella persona fa qualcosa di stupido, l’azienda ha una crisi da fronteggiare.
Il (falso) mito del “purché se ne parli”
Che sia da un corso di (pseudo) marketing, che sia per sentito dire, avrete familiarità con la frase “purché se ne parli”, ebbene nel caso del personal brand questo è solo un mito.
Potrai dire: “Ma noo! Se tutti parlano si genera passaparolaaa!!1”, sì, vero, ma ora chiudi il corso “Come fare cento milioni di euro in un secondo” e continua a leggere l’articolo.

Oggi è innegabile che il mondo è iperconnesso, e le connessioni, intese come relazioni tra persone, hanno come base principale la fiducia nell’altro. Una persona che inizia la sua ‘carriera’ da influencer lavora sul valore del suo personal brand, e questo valore discende dalla sua credibilità e fiducia.
Nel momento in cui commette un errore, talvolta anche minimo, ecco che la mano invisibile di internet fa il suo lavoro: arriva il linciaggio. Ecco che perdere fiducia e credibilità (ergo iniziare a far parlare male di sé) ha conseguenze non trascurabili per chi vive grazie al suo personal brand: vengono meno le fondamenta, le premesse che tengono in piedi l’ecosistema creato.
Infine, non va sottovalutato l’aspetto più importante della narrazione: la persona dietro al personal brand. Per quanto possa essere preso di mira il suo personaggio, la persona ne subisce gli effetti in toto (pensate che la shitstorm subita da Chiara Ferragni non l’abbia davvero ferita come persona?), inserendo nell’equazione ‘crisi del personal brand’ una nuova variabile: il costo umano, che è tutt’altro che basso.
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