L’estate è terminata e come ogni settembre si ritorna alle buone abitudini e alla routine, tuttavia, possiamo ancora assaporare un po’ di bella stagione con un racconto che ci immerge nel Ferragosto romano del 1977… Roma boccheggia sotto un sole impietoso, strade deserte, un caldo implacabile. La quiete afosa viene scossa: Herbert Kappler, gerarca nazista, evade dall’ospedale di Celio, dove era detenuto da un anno circa.
Kappler… chi?
Herbert Kappler naque a Stoccarda nel 1907 e, come molti suoi coetanei ambiziosi dell’epoca, aderì al nazismo. La scelta si rivelò vincente diventando ben presto una figura di spicco durante il periodo dell’occupazione romana.
A Roma diresse il commando esterno della Sicherheitspolizei, una polizia “specializzata” in repressione politica, persecuzione razziale e caccia ai partigiani. In pochi mesi, riuscì a lasciare un segno, tragicamente indelebile, nella memoria della capitale, prendendo parte a due delle pagine più tragiche della storia dell’occupazione.

La prima è la deportazione degli ebrei romani, nell’autunno del ’43: la comunità, presa ormai di mira, è minacciata e costretta a consegnare 50 kg di oro; poco dopo, le SS arrestarono più di mille persone, solo sedici sopravvissero.
La seconda è l’eccidio delle Fosse Ardeatine, nel marzo del ’44. Anche se la documentazione ufficiale non abbonda, i processi del dopoguerra chiariscono bene il suo ruolo, Kappler organizzò tutto: selezionò le vittime, diresse le esecuzioni e convinse anche i più riluttanti a sporcarsi le mani.

Il processo e la condanna
Dopo essere stato arrestato, il processo si tenne a Roma nel luglio 1948. La corte riconobbe l’estrema crudeltà delle esecuzioni ma, sorprendentemente, Kappler inizialmente è assolto: pare che stesse solo eseguendo ordini, e magari, nella sua testa piena di odio, pensava pure che fossero perfettamente legittimi. Successivamente fu condannato all’ergastolo per omicidio. A questo si aggiunsero altri 15 anni per il piccolo dettaglio dell’estorsione d’oro agli ebrei romani.

La detenzione e le folli richieste
Condannato all’ergastolo, Kappler trascorse ben 29 anni e un mese in carcere… anche se la sua prigionia non è stata uguale a quella di altri criminali, la detenzione somigliò ad una lunga degenza di lusso: visite frequenti, corrispondenza con amici e fan nostalgici tedeschi e austriaci, e soprattutto zero segni di pentimento.
A partire dagli anni ’50, Herbert Kappler iniziò a ricevere il caloroso sostegno di un folto fan club: ex nazisti, veterani, addirittura il governo federale tentò di riportarlo a casa.

Negli anni ’70, la strategia cambiò tono: i cancellieri Brandt e Schmidt si schierarono a favore della liberazione di Kappler, peccato che gli italiani ricordassero ancora quanto era accaduto pochi decenni prima. Addirittura, nel 1976, oltre 200 deputati tedeschi scrissero al Presidente della Repubblica italiana per chiedere grazia a un Kappler ormai malato di cancro.
Una vera e propria follia, perché, anche con un cancro in fase terminale, un criminale di guerra resta un criminale di guerra, inoltre trent’anni di carcere non cancellano le innumerevoli esecuzioni in nome della follia nazista.
Anche la seconda moglie, Anneliese, si attivò con determinazione: scioperi della fame, viaggi a Roma, raccolte fondi. Una campagna ben organizzata, che però si scontrava con un ostacolo insormontabile: la memoria delle Fosse Ardeatine e la ferma opposizione delle vittime, dei sopravvissuti e dell’opinione pubblica italiana.
La fuga
Nel 1976, gravemente malato, il gerarca fu trasferito nell’ospedale militare del Celio, dove rimase per quasi un anno, finché il 15 agosto 1977, Ferragosto, giornata perfetta per una fuga, riuscì a scappare in Germania… nascosto in una valigia spinta dalla moglie. Non è una metafora: fu proprio così. In parte, ancora aleggia mistero su questa fuga: possibile che nessuno si sia accorto che quest’uomo, ormai malato, stesse fuggendo?

Lo scandalo in Italia fu immediato e fragoroso. La sua evasione venne vista come un insulto alla memoria. Mentre le autorità italiane cercavano spiegazioni (invano), il governo tedesco restò in silenzio per undici giorni. Quando il cancelliere Helmut Schmidt parlò, dichiarò che le ragioni umanitarie superavano le richieste delle vittime. Già: chi aveva ordinato stragi meritava ora compassione.
In Germania, la destra nostalgica applaudì. Alcuni celebrarono il suo ritorno da “martire” del dopoguerra, accusando l’Italia di crudeltà. In Italia, intanto, la fuga fu letta come un gigantesco fallimento di Stato.

Kappler morì pochi mesi dopo, il 9 febbraio 1978, a Soltau, da uomo libero. Ai funerali parteciparono molti ex nazisti. Il boia delle Fosse Ardeatine se n’era andato senza mai pentirsi.
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