Vi è mai capitato, durante una giornata qualsiasi, in cui tutto scorre tranquillo, di essere improvvisamente assaliti da un dubbio così forte da non riuscire a scrollarvelo di dosso finché non trovate una risposta? Ecco, nel mio caso la domanda è semplice (forse): come mai solo le femmine allattano?

Nel mondo dei mammiferi, infatti, l’allattamento sembra essere un’esclusiva femminile. Tuttavia, da un punto di vista strettamente biologico, non ci sono barriere insormontabili alla lattazione nei maschi. Molti mammiferi maschi possiedono ghiandole mammarie rudimentali e, in rare eccezioni, come nel caso del pipistrello Dayak, sono stati osservati maschi capaci di produrre latte.

Allora perché questa funzione è rimasta saldamente nelle mani (anzi, nelle mammelle) delle femmine?

La risposta è più complessa di quanto sembri. Un primo tentativo di spiegazione si rifà alla selezione sessuale: in molte specie, i maschi traggono maggiori vantaggi investendo nella riproduzione con più partner piuttosto che nella cura della prole. Di conseguenza, l’evoluzione avrebbe favorito l’allattamento femminile.

Ma questa teoria non è sufficiente: esistono specie monogame, dove i padri partecipano attivamente alla crescita dei cuccioli, eppure anche in questi casi non allattano. Come mai?

Un gruppo di ricercatori dell’Università di York ha proposto un’ipotesi affascinante e innovativa: la chiave sarebbe nei microbi presenti nel latte materno. Sì, proprio loro, invisibili ma potentissimi.

Il latte come veicolo di microbi “buoni” (e anche cattivi)

Il latte materno, oltre a fornire nutrimento essenziale al neonato, è anche un prezioso canale di trasmissione per una vasta comunità di microrganismi come batteri, virus e funghi, che colonizzano l’intestino del neonato e contribuiscono alla formazione del suo sistema immunitario. Questo processo, noto come trasmissione “verticale, è uno dei principali mezzi con cui la madre passa alla prole parte del proprio microbioma; cioè l’insieme dei microrganismi che vivono nel corpo e influenzano salute, crescita e persino il comportamento dell’individuo.

Ed è qui che nasce un problema evolutivo: se anche i padri allattassero, cioè se la trasmissione dei microbi avvenisse in modo biparentale, aumenterebbe il rischio di passaggio di microrganismi dannosi. Infatti, i “microbi cattivi” (cioè quelli che riducono la sopravvivenza o la fertilità della prole) avrebbero il doppio delle possibilità di trasmettersi. Quando invece la trasmissione è limitata alla madre, si attiva una sorta di filtro naturale che permette solo ai microbi utili o innocui di passare. Questo meccanismo di selezione è stato definito dai ricercatori “filtro simbiotico” (symbiont sieve).

L’efficacia del filtro simbiotico

Lo studio dimostra, attraverso modelli matematici e simulazioni, che la trasmissione uniparentale (solo dalla madre) impedisce la diffusione di microrganismi dannosi, mentre consente la trasmissione di quelli benefici. Al contrario, la trasmissione biparentale permette anche a microbi potenzialmente patogeni di sopravvivere e proliferare, perché ricevono un vantaggio “riproduttivo” essendo trasmessi da entrambi i genitori.

La selezione naturale, dunque, favorisce l’evoluzione di geni nei maschi che inibiscono la capacità di trasmettere il microbioma attraverso il latte. In questo modo, l’equilibrio torna verso un sistema di trasmissione solo materna, più sicuro per l’intera popolazione.

E se il latte paterno fosse un vantaggio nutrizionale?

Una domanda lecita è: se anche il padre potesse allattare, non sarebbe un beneficio per i piccoli in termini di nutrimento extra?

Intuitivamente sì, ma in realtà no. Secondo i modelli sviluppati nello studio, i vantaggi nutrizionali del latte maschile non sarebbero sufficienti a compensare il rischio microbiologico. Anzi, anche piccole quantità di latte paterno sarebbero sufficienti a veicolare microrganismi dannosi, mentre non garantirebbero un miglioramento significativo nella sopravvivenza della prole. Solo un contributo nutritivo massiccio potrebbe compensare il rischio, ma non ci sono pressioni evolutive abbastanza forti da spingere in quella direzione.

Allattamento maschile: le rare eccezioni

Come già accennato, esistono rare eccezioni, come quella del pipistrello Dayak. In questi casi, però, il ruolo del microbioma intestinale sembra essere meno cruciale per la salute dell’animale. Alcuni mammiferi volanti, ad esempio, hanno un sistema intestinale più semplice, meno popolato da batteri, e quindi meno soggetto alle dinamiche di trasmissione verticale. Questo potrebbe spiegare come, in condizioni eccezionali, l’allattamento maschile possa emergere senza compromettere la salute dei piccoli.

Conclusione: un nuovo modo di vedere la maternità

Tutto questo ci porta a riconsiderare un comportamento che spesso diamo per scontato. L’allattamento materno non è soltanto una questione di nutrizione: è un sofisticato meccanismo di protezione, un filtro biologico che aiuta a selezionare i microbi “giusti” e a bloccare quelli dannosi. La maternità, in questo senso, è anche un potente strumento evolutivo, che contribuisce alla salute non solo del singolo cucciolo ma dell’intera specie. Il “microfono ai microbi”, insomma, ci svela che la natura difficilmente lascia qualcosa al caso, e che dietro ogni gesto apparentemente ovvio si nasconde un equilibrio delicato e profondamente strategico.

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